Il 26 ottobre 2010 segna una data cruciale nella bibliografia rock: Keith Richards, chitarrista leggendario dei Rolling Stones, pubblica la sua autobiografia, “Life”. Un’opera che, oltre a svelare aneddoti e retroscena della sua lunga e intensa carriera, offre uno spaccato intimo e spesso crudo della sua vita, segnata da un consumo massiccio di sostanze stupefacenti.
La droga, per Richards, non è un semplice espediente, ma un elemento che ha profondamente influenzato la sua creatività e la sua percezione della realtà. Nella sua autobiografia, il chitarrista britannico non nasconde il suo amore per lo sballo, affermando che “ho adorato un ottimo sballo. E se rimani sveglio, ottieni le canzoni che gli altri mancano perché dormono”. Questa dichiarazione, apparentemente provocatoria, rivela una visione del mondo e della musica fortemente legata all’alterazione della coscienza.
L’opera di Richards, dunque, va oltre la semplice narrazione di una vita eccentrica. È un’analisi profonda del rapporto tra arte e sostanze stupefacenti, un tentativo di spiegare come l’uso di droghe abbia contribuito a plasmare uno dei più grandi chitarristi di tutti i tempi. “Life” è un invito a riflettere sulla complessità della figura di Richards, un personaggio controverso e affascinante, che ha saputo trasformare la sua esperienza personale in arte, lasciando un’impronta indelebile nella storia della musica rock.