l 27 maggio 1977, nel pieno delle celebrazioni per il Giubileo d’Argento della Regina Elisabetta II, i Sex Pistols pubblicarono il loro singolo “God Save The Queen”. Questa data, più che una semplice uscita discografica, si trasformò in un vero e proprio atto di sfida, destinato a rimanere impresso nella memoria collettiva. Nonostante la coincidenza temporale, la band ha sempre negato che il brano fosse stato concepito appositamente per l’evento reale. Paul Cook, il batterista, sottolineò come la canzone non fosse “un’opera studiata a tavolino per venire fuori e scioccare tutti”.
Inizialmente, il titolo scelto per il singolo era “No Future”, un’espressione che ben riassumeva il malcontento giovanile dell’epoca. Fu il loro manager, Malcolm McLaren, a intuire il potenziale provocatorio di un titolo come “God Save The Queen” e a ritardarne l’uscita per farla combaciare con le celebrazioni del Giubileo. L’intento di McLaren era chiaro: massimizzare l’impatto e la risonanza del brano. Johnny Rotten, frontman della band, spiegò il significato del testo con una lucidità disarmante: “Non si scrive una canzone come God Save the Queen perché si odiano gli inglesi. Si scrive una canzone come questa perché si amano e si è stanchi di vederli maltrattati.” Una dichiarazione che rivelava una critica profonda al sistema e alla società, più che un semplice attacco alla monarchia. “God Save The Queen” divenne così un simbolo del punk rock, un grido di ribellione che, nonostante i tentativi di censura, raggiunse milioni di persone, consolidando la reputazione dei Sex Pistols come icone di un’intera generazione.